OSTEOPOROSI E OSTEOMALACIA

Osteoporosi

L’osteoporosi è una malattia cronica del sistema scheletrico, più frequente nell’anziano e nelle donne, caratterizzata dalla riduzione della massa e della densità dell’osso, senza che si riconoscano alterazioni qualitative dei vari componenti dell’osso o anormalità nella sua composizione chimica e nella sua struttura.
Nell’osteoporosi l’apposizione dell’osso è per lo più normale, mentre il riassorbimento osseo appare accelerato. L’allargamento degli spazi vascolari e midollari dell’osso e la riduzione numerica delle travate ossee conducono ad un indebolimento dello scheletro con possibile insorgenza di fratture patologiche.
La riduzione della massa dell’osso porotico non dipende pertanto da una ridotta formazione della osseina per deficiente attività osteoblastica, ma da un riassorbimento aumentato rispetto alla massa ossea.

Anatomia patologica

Il processo patologico fondamentale dell’osteoporosi è rappresentato dalla riduzione della massa scheletrica: le trabecole ossee sono ridotte di dimensioni e di numero, la corticale ossea è assottigliata. L’osso trabecolare è maggiormente interessato del corticale, cosicché le vertebre, per lo più costituite da trabecole, rappresentano la sede elettiva dell’osteoporosi. Inoltre, un gran numero di osteoni presenta una considerevole ampiezza dei canali centrali da cui deriva una evidente caratteristica porosità delle sezioni dell’osso corticale; sono state anche riscontrate una ridotta calcificazione degli osteoni e fatti degenerativi dell’osseina, espressioni queste di un osso in preda a vivace riassorbimento.

Eziologia e impatto della densità e qualità dell’osso sul rischio di frattura

La resistenza meccanica dell’osso riflette l’integrazione di due caratteristiche principali: densità ossea e qualità ossea.
Molti fattori contribuiscono al rischio di fratture osteoporotiche, che dovrebbero essere tutti presi in considerazione nella valutazione del rischio di frattura nei pazienti.
La MOC, o Mineralometria Ossea Computerizzata, è un test diagnostico che permette di misurare i livelli di calcio e altri minerali, nelle ossa dello scheletro umano, stabilendo un parametro la cui denominazione specifica è: densità minerale ossea (BDM).
Esistono diversi tipi di MOC. Il tipo più comune è la MOC DEXA (o DXA, nota anche come assorbimetria a raggi X a doppia energia – in inglese Dual-Energy X-ray Absorptiometry), che misura la BDM mediante uno strumento ai raggi X. La MOC descrive la densità minerale ossea di un individuo attraverso due parametri, denominati “T-score” e “Z-score”. Il “T-score” è la misura di quanto il valore di densità minerale ossea del soggetto esaminato si discosta dal valore di densità minerale ossea del riferimento, che è la popolazione sana di 25-30 anni e dello stesso sesso.
Lo “Z-score”, invece, è la misura di quanto il valore di densità minerale ossea del soggetto esaminato si discosta dal valore di densità minerale ossea di un altro riferimento, che è la popolazione sana di uguale età e sesso.
In ambito diagnostico, il “T-score” è il parametro di maggiore interesse e utilizzo: un suo valore negativo, rispetto al riferimento, vuol dire bassa densità minerale ossea, quindi maggiore fragilità ossea e predisposizione alle fratture scheletriche.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito criteri per valutare lo stato osseo e determinare il rischio di frattura: si parla di osteopenia quando il “T-score” rientra nella scala di valori che va da –1 escluso a –2,5 compreso, mentre l’osteoporosi è definita da valori di “T-score” inferiori a –2,5 (escluso).
La prova che il rischio di frattura aumenta con il declino della BMD è stata dimostrata in più studi epidemiologici. Sebbene la BMD sia il test standard per la diagnosi dell’osteoporosi prima del trattamento, la ricerca in corso indica che la misurazione della BMD da sola potrebbe non essere adeguata a valutare il rischio di frattura e l’efficacia del trattamento. Un concetto più utile può essere la qualità ossea, che riflette l’integrazione sia della BMD che della resistenza ossea. La resistenza ossea è determinata dalle proprietà strutturali e materiali che hanno un impatto sulla qualità ossea complessiva.
Le proprietà strutturali dell’osso includono geometria (dimensioni e forma) e microarchitettura (spessore e connettività trabecolare e rapporto spessore/porosità corticali). Le proprietà del materiale dell’osso includono mineralizzazione (rapporto minerale/matrice e dimensione del cristallo), composizione del collagene (tipo e collegamenti incrociati) e accumulo di danni (come le microfratture). Questi componenti della forza ossea sono influenzati dal tasso di turnover osseo, in cui il vecchio osso viene riassorbito e nuovo osso viene creato.
Nelle donne anziane, le anomalie nel processo di rimodellamento osseo compromettono queste proprietà, aumentando la propensione alla frattura.
Inoltre, la carenza di estrogeni dopo la menopausa è stata associata ad accelerati perdita di osso e turnover osseo, con conseguente sostanziale aumento del rischio di frattura: la diminuzione dei livelli di estrogeni aumenta il riassorbimento osseo allungando la durata della vita degli osteoclasti e diminuisce l’apposizione ossea accorciando la durata della vita degli osteoblasti.
Gli agenti antiriassorbitivi hanno dimostrato di ridurre il rischio di frattura vertebrale senza produrre grandi guadagni nella BMD della colonna lombare, fornendo la prova che fattori diversi dalla BMD svolgono un ruolo nella resistenza ossea.
In questi pazienti, i cambiamenti nei marcatori di turnover osseo possono anche essere valutati per determinare la resistenza ossea e la riduzione del rischio di frattura.

Patogenesi

Il normale turnover osseo comporta un equilibrio tra i processi di riassorbimento osseo e formazione ossea in cui gli osteoclasti rimuovono (riassorbono) l’osso mediante acidificazione e digestione proteolitica e gli osteoblasti secernono osteoide (matrice organica dell’osso) nelle aree di riassorbimento.
Nelle donne in postmenopausa, il tasso di turnover osseo aumenta drasticamente e rimane elevato fino a 40 anni dopo la cessazione della funzione ovarica, portando a una perdita ossea continua e progressiva.
Si ritiene che la base per l’aumento del ricambio osseo sia dovuta in parte ad un accorciamento della durata della vita degli osteoblasti e a un prolungamento della durata della vita degli osteoclasti.

Fattori di rischio per l’osteoporosi e le fratture osteoporotiche

Diversi fattori interagenti contribuiscono al rischio di frattura osteoporotica, tra cui variabili cliniche, mediche, comportamentali, nutrizionali e genetiche.

Fattori clinici

Uno dei principali fattori determinanti la densità ossea nell’anziano è la sua massa ossea di picco.
Sebbene il raggiungimento della massa ossea di picco inizi in utero ed è tipicamente completo entro i 40 anni, il principale contributo a questo processo è la quantità di osso che si guadagna durante l’adolescenza.
Generalmente, si pensa che basso picco di massa ossea sia associato a un aumento del rischio di frattura osteoporotica, anche se il ruolo della massa ossea di picco come fattore nell’osteoporosi non è stato esplorato a fondo.
Nei primi anni dopo la cessazione della funzione ovarica in menopausa, la perdita ossea accelera e la massa ossea continua a diminuire con l’età. Pertanto, oltre alla massa ossea di picco, l’invecchiamento stesso è un fattore di rischio per la perdita ossea. Le donne in postmenopausa con un basso peso corporeo, una bassa percentuale di grasso corporeo o un basso indice di massa corporea sono a maggior rischio di bassa massa ossea e rapida perdita ossea, entrambe fattori che contribuiscono in modo indipendente all’osteoporosi postmenopausa. Nelle donne di età pari o superiore a 65 anni, sia basse concentrazioni totali di estradiolo nel siero (<5 pg/mL) che elevate concentrazioni seriche di globulina legante l’ormone sessuale (≥1 μg/dL) si sono dimostrate aumentati fattori di rischio di frattura dell’anca e vertebrali, senza relazione con la BMD.
La forte associazione tra una storia di ipertiroidismo e il rischio di frattura dell’anca nelle donne anziane, anche indipendente dalla BMD, può essere attribuibile a una compromissione di lunga durata della forza ossea, della funzione neuromuscolare e/o della forza muscolare.
Diversi studi hanno anche documentato un’associazione tra la precedente storia di fratture in qualsiasi sito e il rischio di future fratture vertebrali e dell’anca.
Queste osservazioni suggeriscono che i difetti esistenti nella microarchitettura ossea possono influenzare il rischio di frattura e che questo rischio può essere indipendente dalla BMD. Inoltre, è stato dimostrato che le donne con frattura vertebrale osteoporotica vanno incontro, una su cinque, a una nuova frattura vertebrale nell’anno successivo.
La vista compromessa (ad esempio, scarsa percezione della profondità e ridotta capacità di percepire il contrasto) aumenta in modo indipendente il rischio di frattura dell’anca nelle donne anziane, e contribuisce alla propensione alla caduta, che è un altro fattore di rischio indipendente per la frattura.
La scarsa forza di presa della mano, che può essere causata da deficit cognitivo, disturbi articolari, neuropatia diabetica e/o dolore, è un forte fattore di rischio indipendente per le fratture da fragilità nelle donne in postmenopausa.

Fattori medici

L’osteoporosi secondaria è associata a una serie di disturbi medici, tra cui malattie gastrointestinali (ad esempio, sindromi di malassorbimento e malattie infiammatorie intestinali), disturbi ematologici (ad esempio talassemia e anemia perniciosa) e stati ipogonadici (ad esempio, amenorrea).
Inoltre, l’esposizione a determinati farmaci può contribuire e/o esacerbare l’osteoporosi: diuretici, corticosteroidi, anticonvulsivanti, farmaci immunosoppressivi, farmaci antinfiammatori non steroidei, farmaci per l’asma con corticosteroidi, benzodiazepine, eparina, progesterone, tamoxifene, e una serie di antibiotici.
I glucocorticoidi sono i più comunemente implicati, e influenzano sia la quantità che la qualità dell’osso.
L’entità dell’aumento del rischio di frattura vertebrale negli uomini e nelle donne trattati con glucocorticoidi è sproporzionata rispetto alle diminuzioni osservate nella BMD, portando a speculare sul fatto che oltre a ridurre la massa ossea, il trattamento con glucocorticoide può portare a difetti di qualità ossea mediati dall’aumento del turnover osseo e dalla porosità trabecolare.
È probabile che le donne in postmenopausa che hanno già una bassa massa ossea raggiungano una soglia di frattura con trattamento con glucocorticoide prima dei pazienti con valori di BMD inizialmente più elevati.

Fattori (abitudini) comportamentali

Diversi fattori di rischio comportamentale aumentano le probabilità di sviluppare osteoporosi e fratture atraumatiche. Uno è il fumo di sigaretta, che è associato alla perdita ossea accelerata e all’aumento del rischio di frattura dell’anca negli anziani, apparentemente causato almeno in parte dalla ridotta efficienza di assorbimento intestinale del calcio. Un basso livello di attività fisica è stato positivamente correlato al rischio di frattura in alcuni studi. Dopo la regolazione per variabili confondenti (ad esempio, salute auto-valutata e funzione neuromuscolare), questa correlazione non è sempre stata significativa negli studi clinici. L’assunzione di alcol di 207 ml o più (>7 fl oz) a settimana è un fattore di rischio per la perdita ossea. Inoltre, l’assunzione di caffeina è stata correlata positivamente al rischio di frattura dell’anca e al tasso di perdita ossea nelle donne anziane con la variante tt del recettore della vitamina D.
L’immobilizzazione e l’inattività muscolare concorrono sicuramente ad aggravare od a scatenare un processo osteoporotico, in rapporto alla mancanza dei normali stimoli che mantengono il trofismo dell’osso, Ne deriva un esaltamento dei processi di riassorbimento, con possibile ipercalcetnia e ipercalciuria, con atrofia ossea a chiazze o diffusa (osteoporosi post-traumatica, delle artriti reumatoidi, delle paraplegie). Ma l’immobilizzazione non può che essere un fattore secondario aggravante, non la causa dell’osteoporosi primaria.

Fattori nutrizionali

L’assunzione alimentare di calcio è correlata modestamente con la BMD, sebbene questa relazione sia evidente principalmente negli uomini e nelle donne magri con bassi valori di indice di massa corporea (<27 kg/m2). La carenza di vitamina D è un fattore di rischio stabilito per le fratture negli anziani, a causa del maggiore ricambio osseo, del ridotto assorbimento di calcio e della perdita di massa ossea derivante dall’iperparatiroidismo secondario.

Fattori genetici

La razza è un fattore determinante della BMD e del rischio di frattura. I tassi di incidenza ottenuti da studi tra diversi gruppi razziali ed etnici dimostrano che, sebbene le donne abbiano tassi di frattura più elevati rispetto agli uomini in generale, queste differenze variano a seconda della razza e dell’età. Ad esempio, in soggetti bianchi e asiatici, le donne avevano tassi più alti per tutte le fasce d’età al di sopra dei 50 anni. Per i soggetti ispanici di età compresa tra i 50 e i 59 anni, gli uomini avevano un tasso più alto rispetto alle donne, ma questa relazione di genere si è invertita dopo i 60 anni. I maschi neri avevano tassi più alti delle donne fino all’età di 70 anni, dopo di che le donne avevano tassi più alti. Sia per i sessi che per tutti i gruppi razziali ed etnici, i tassi aumentano bruscamente con l’età. Studi condotti negli Stati Uniti che hanno confrontato direttamente soggetti bianchi, asiatici, ispanici e neri non asiatici hanno dimostrato che i soggetti asiatici, una popolazione che di solito ha una bassa massa ossea, non hanno avuto un tasso maggiore di fratture dell’anca rispetto ai soggetti ispanici e neri non ispanici. I valori medi più elevati di BMD e i tassi più bassi di frattura dell’anca sono stati segnalati per le donne di colore. Questi risultati dimostrano che la razza e l’etnia, così come l’età e il sesso, influenzano l’incidenza delle fratture dell’anca. Tuttavia, in una revisione retrospettiva, i pazienti neri hanno sperimentato un periodo più lungo di ospedalizzazione dopo la frattura dell’anca ed erano più propensi a non essere non-deambulanti alla dimissione rispetto ai pazienti bianchi. Inoltre, utilizzando i dati della Health Care Financing Administration dal 1980 al 1982, le donne di colore avevano un tasso di mortalità più elevato durante il ricovero per frattura dell’anca rispetto alle donne bianche.
La dimensione corporea è un altro fattore che influisce sul rischio di frattura. Uno studio condotto su donne anziane bianche non ispaniche ha dimostrato che le donne anziane con corporatura più minuta sono a maggior rischio di frattura dell’anca. Sebbene tutte le misurazioni delle dimensioni del corpo (incluso il peso corporeo totale, il cambiamento percentuale del peso dall’età di 25 anni, la massa magra, la massa grassa, la percentuale di grasso corporeo, la circonferenza dell’anca, l’indice di massa corporea e l’indice di massa corporea modificata) siano state associate al rischio di frattura dell’anca, la misurazione del peso corporeo totale da sola è stata trovata sufficiente per accertare il rischio di frattura dell’anca. Le donne con una storia materna di frattura dell’anca hanno circa il doppio delle probabilità di sperimentare fratture dell’anca rispetto alle donne senza una tale storia familiare.

Manifestazioni cliniche

La perdita della massa scheletrica caratteristica dell’osteoporosi può arrivare al punto da condizionare l’insorgenza di fratture patologiche.
Il quadro clinico dell’osteoporosi è proteiforme sia per quanto riguarda la sintomatologia che la gravità dei singoli sintomi. Anche la presenza di una osteoporosi radiologicamente confermata con compressione dei corpi vertebrali può decorrere asintomatica, come è stato riscontrato nella popolazione dei anziani ospiti nei gerontocomi.
L’osteoporosi si accompagna a sintomatologia dolorosa della colonna dorsale, lombare o sacrale, che di solito è sorda e leggera anche se costante, e compare dopo protratta stazione eretta o a seguito di lunga permanenza in posizione seduta. A volte il dolore osteoporotico è a rapida insorgenza, intenso, localizzato sopra un corpo vertebrale; è incrementato dal movimento e gradualmente scompare in qualche settimana. In questo caso è riferibile ad una frattura da compressione di un corpo vertebrale e deriva dall’interessamento del periostio o da spasmo muscolare. Il collasso vertebrale, specie se interessa più vertebre, può portare a riduzione staturale, ad atteggiamenti viziati della colonna (cifosi dorsale, iperlordosi cervicale, iperlordosi lombare) per schiacciamento della zona centrale delle ultime vertebre dorsali e delle vertebre lombari, a cedimento anteriore, essendo la colonna sostenuta posteriormente dalle articolazioni vertebrali. Alla cifosi conseguono riduzione della mobilità toracica, e solo raramente formazione di gibbo e lesioni midollari. Uno schiacciamento vertebrale con paraplegia è sempre espressione di una grave spondilopatia neoplastica o mielomatosa, non di osteoporosi. Anche le radicolalgie sono raramente imputabili a processi osteoporotici.
Meno frequenti dei dolori vertebrali sono i dolori toracici che insorgono negli osteoporotici durante i movimenti respiratori profondi, i colpi di tosse, gli starnuti. Essi possono essere in rapporto a fratture costali che insorgono nella osteoporosi grave in seguito a piccoli traumi.
Se l’osteoporosi colpisce altre ossa, non si osserva sintomatologia dolorosa, contrariamente a quanto si osserva in altre condizioni morbose quali l’osteomalacia e la osteite fibrosocistica generalizzata, ma si verificano con facilità fratture spontanee; le ossa più facilmente esposte a questa evenienza sono il femore prossimale, il bacino, il radio distale.
La calcolosi renale fosfocalcica è più frequente negli osteoporotici che nei soggetti normali, soprattutto nell’uomo e nella forma idiopatica.

Diagnosi di osteoporosi

La valutazione della massa ossea esistente, la determinazione del rischio di frattura sulla base di questa valutazione clinica e le decisioni relative all’intervento terapeutico appropriato sono gli obiettivi finali nella valutazione dei pazienti per l’osteoporosi. L’OMS ha stabilito criteri diagnostici per l’osteoporosi sulla base dei punteggi T-score. Come già detto, l’OMS utilizza una soglia di 2,5 SD inferiore alla media delle giovani donne adulte come criterio per una diagnosi di osteoporosi, mentre il criterio per una diagnosi di osteopenia (bassa massa ossea) è superiore a 1,0 SD ma inferiore a 2,5 SD al di sotto della media di riferimento. Tuttavia, sono stati sviluppati punteggi T-score per la stima della prevalenza dell’osteoporosi tra le popolazioni e non per la valutazione dell’osteoporosi in pazienti specifici. Inoltre, sebbene i T-score originariamente fossero basati sul BMD dell’anca misurato dall’assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA), i punteggi sono ora applicati alla BMD in altri siti scheletrici e/o misurati con metodi diversi. Attualmente, la National Osteoporosis Foundation americana e l’International Society for Clinical Densitometry considerano la DXA centrale dell’anca e/o della colonna vertebrale come la misura preferita per una diagnosi di osteoporosi.
I test BMD sono indicati per tutte le donne di età pari o superiore a 65 anni, indipendentemente da altri fattori di rischio, per le donne in postmenopausa più giovani con uno o più fattori di rischio, e per le donne in postmenopausa che hanno avuto fratture (per confermare la diagnosi e determinare la gravità della malattia).
È importante ricordare che nella maggior parte dei casi la calcemia, la fosforemia, la fosfatasemia alcalina, la calciuria, la fosfaturia sono normali. La fosfatasi alcalina del siero può aumentare leggermente solo in seguito a recenti fratture ossee. In qualche caso si può osservare aumento della calciuria, soprattutto nella osteoporosi idiopatica nell’uomo, mentre in altri casi, come nell’osteoporosi senile, la calciuria può essere inferiore alla norma. Il bilancio calcico è negativo quando l’osteoporosi è in via di formazione. Nell’osteoporosi già istituita, il bilancio calcico risulta negativo solo nella metà circa dei casi, a riprova di una lenta evoluzione della malattia oppure dell’alternanza di riacutizzazioni e di remissioni.

Diagnosi differenziale

Di fronte ad un ammalato con demineralizzazione ossea generalizzata dobbiamo escludere le seguenti più rare forme morbose, prima di considerare la diagnosi di osteoporosi:

1) affezioni neoplastiche del midollo osseo (mieloma multiplo);
2) metastasi ossee da tumori primitivi del rene, tiroide, polmone, mammella, prostata. In questi casi, oltre alla presenza del tumore primitivo, si riscontrano nel sistema scheletrico una o più manifestazioni distruttive localizzate, la velocità di eritrosedimentazione è aumentata, le proteine plasmatiche sono alterate e vi possono essere alterazioni ematologiche periferiche o midollari. In alcune neoplasie del rene e del polmone si è riscontrata un’aumentata attività delle paratiroidi;
3) iperparatiroidismo primitivo, in cui si osserva il caratteristico reperto di ipercalcemia, ipofosforemia e aumento della fosfatasi alcalina del siero;
4) iperparatiroidismo secondario (renale), caratterizzato da iperazotemia e iperfosforemia;
5) osteomalacia, da deficienza di vitamina D o resistenza alla vitamina D, sia questa congenita o acquisita, in cui si osserva una riduzione della calcemia e della fosforemia, un aumento della fosfatasi alcalina e una aumentata ritenzione di un carico calcico.
6) scorbuto (in altre epoche).
7) ipofosfatasia.

Metodi di diagnosi

Anamnesi ed esame fisico

Occorre ottenere una storia completa, con particolare attenzione ai fattori di rischio precedentemente discussi, comprese le storie mediche, familiari e farmacologiche. Sebbene i pazienti con valori BMD ridotti di solito non abbiano specifici risultati anomali all’esame fisico, quest’ultimo può rilevare la cifosi, un addome sporgente e la perdita di altezza (da fratture con compressione somatica vertebrale); dolorabilità evocabile alla pressione sulle apofisi spinose, che di solito è presente solo dopo una frattura acuta; ridotta velocità della marcia e/o ridotta forza di prensione della mano, che spesso si riduce nei pazienti che hanno avuto o stanno per avere una frattura dell’anca; e scarsa acuità visiva, che è un fattore di rischio per caduta. Alcuni altri risultati fisici, come la tiroide nodulare, l’ingrandimento epatico, l’ittero o le caratteristiche cushingoidi, possono rivelare cause secondarie di osteoporosi (ad esempio, iperparatiroidismo, malattia epatica o sindrome di Cushing).

Esami radiologici e di laboratorio

La decalcificazione ossea è radiologicamente evidente solo quando è stato perso almeno il 30 % n del materiale calcico. Gli aspetti radiologici che possono confermare la diagnosi di osteoporosi sono rappresentati dalla aumentata radiotrasparenza dei corpi vertebrali, dalla riduzione dello spessore della corticale, da un aumentato contrasto fra la corticale e la zona centrale dei corpi vertebrali (vertebra a biglietto da lutto), dalla perdita delle più sottili trabecole orizzontali con evidenziazione della trabecolatura verticale, dall’aspetto concavo o biconcavo dei corpi vertebrali compressi dai nuclei polposi (vertebra di pesce), dalla frattura delle lamine limitanti superiori, dal collasso dei corpi vertebrali, soprattutto dorsolombari. Il bacino e le coste presentano una demineralizzazione diffusa e le travate del collo femorale sono rarefatte. Nell’osteoporosi la lamina dura attorno ai denti è conservata, il cranio è normale.
La BMD è lo strumento standard utilizzato per diagnosticare l’osteoporosi. Diversi metodi di imaging sono stati sviluppati per misurare la BMD, tra cui DXA e tomografia computerizzata quantitativa (QCT). Le linee guida dell’OMS per la diagnosi dell’osteoporosi si basano su misurazioni DXA dell’anca o della colonna vertebrale.
La DXA è considerato il gold-standard dei metodi utilizzati per diagnosticare l’osteoporosi. Questo test è in grado di misurare il contenuto minerale osseo in qualsiasi sito del corpo, ma di solito viene utilizzato nei siti centrali (la colonna lombare e il femore prossimale) e nei siti periferici, compreso l’avambraccio distale. Ciò si ottiene passando due fasci di energie diverse attraverso l’osso nel sito da misurare. Un grande vantaggio della DXA è che espone il paziente a livelli di radiazioni inferiori di circa il 90% rispetto a una radiografia toracica standard. L’unità di misura per la densità ossea con l’uso di DXA è la densità areale (g/cm2); tuttavia, la BMD è riportata come un T-score sulla base di questa misurazione.
La QCT può anche essere utilizzata per misurare la BMD della colonna lombare o dei siti periferici. Sebbene la BMD possa essere misurata dalla QCT su qualsiasi sistema TAC, l’apparecchiatura deve essere calibrata utilizzando uno specifico fantoccio che contiene elementi con densità standardizzate di idrossiapatite di calcio. L’accuratezza del QCT della colonna vertebrale nel prevedere la frattura spinale è paragonabile a quella della DXA ma ha il vantaggio di misurare una volumetria reale tridimensionale, in contrasto con il BMD areale ottenuto dalla DXA. La QCT può distinguere tra osso corticale e trabecolare ed è quindi più sensibile ai cambiamenti della BMD causati dal più alto tasso di turnover osseo dell’osso trabecolare. È anche abbastanza precisa da rilevare cambiamenti scheletrici nel tempo, e può essere utilizzata per seguire lo stato della malattia o per monitorare i risultati della terapia dell’osteoporosi.
Sebbene queste tecniche di imaging siano utili per determinare la BMD durante la diagnosi dell’osteoporosi, il ruolo della misurazione della BMD nella valutazione dell’efficacia del trattamento, in particolare la riduzione del rischio di frattura, rimane poco chiaro. Come osservato in analisi separate per alendronato, raloxifene e risedronato, l’aumento della BMD della colonna lombare con ogni terapia spiega solo una piccola porzione (<20%) della riduzione del rischio di frattura vertebrale osservata con questi agenti. Pertanto, gli aumenti della BMD osservati con il trattamento non sono molto predittivi dell’entità della riduzione del rischio di frattura vertebrale.

Marker biochimici del turnover osseo

I marcatori biochimici del ricambio osseo sono stati ampiamente utilizzati nella ricerca clinica e rappresentano i prodotti della formazione ossea e del riassorbimento che vengono rilasciati nella circolazione. I cambiamenti quantitativi nei marcatori riflettono il processo dinamico del metabolismo osseo. Ad esempio, nelle donne in postmenopausa, la formazione ossea e i marcatori di riassorbimento sono significativamente più alti di quelli delle donne in premenopausa, riflettendo l’alto tasso di turnover osseo e la perdita ossea associata che si verifica con la carenza di estrogeni. Al contrario, gli agenti antiriassorbitivi, che diminuiscono l’attività osteoclastica, sono associati a una diminuzione dei marcatori di ricambio osseo e a un aumento della densità ossea nelle donne in postmenopausa.
I marcatori di formazione ossea sono rilasciati dagli osteoblasti e tipicamente sono misurati nel siero. In gran parte a causa della loro specificità tissutale e sensibilità al dosaggio, i marcatori più utili sono la fosfatasi alcalina specifica per ossa (BSAP) e l’osteocalcina. Sebbene il collagene di tipo I sia il prodotto principale sintetizzato e secreto dagli osteoblasti, è prodotto anche da altri tessuti e i test attuali mancano di selettività per il collagene derivato dall’osso. Inoltre, i test attuali per quantificare il BSAP e l’osteocalcina sono più efficaci nel differenziare tra stati normali e stati di malattia rispetto a quelli per il collagene di tipo I.
I marcatori di riassorbimento osseo vengono secreti durante l’attività osteoclastica e includono i prodotti di degradazione del collagene piridinolina, deossipiridinolina e telopeptidi C e N cross-linked. Sono ora disponibili più saggi in grado di misurare questi prodotti in modo relativamente rapido ed economico. La fosfatasi acida resistente al tartrato, che è un enzima lisosomiale presente nelle cellule, fino a poco tempo fa era limitato a marcatore di riassorbimento osseo, perché i primi test mancavano di specificità per l’enzima derivato dall’osteoclasta (TRACP) e a causa della sua instabilità nei campioni di dosaggio. Sono ora disponibili test più recenti che sono selettivi per TRACP 5b, l’isoforma specifica dell’osteoclasta che è considerato un marcatore promettente per la previsione delle fratture vertebrali. Infatti, in grandi studi prospettici, i marcatori biochimici del riassorbimento osseo sono stati associati ad un aumento delle fratture vertebrali e non vertebrali indipendentemente dalla BMD. Tuttavia, il loro uso nella previsione del rischio di frattura in pazienti specifici non è stato definito chiaramente. Il valore di questi marcatori nella valutazione del rischio di frattura sarà quindi probabilmente in combinazione con altri importanti fattori di rischio, tra cui la BMD. Altri usi potenziali dei marcatori di turnover includono la capacità di monitorare l’efficacia del farmaco, prevedere l’aumento della massa ossea e contribuire alla selezione dei pazienti per il trattamento. I marcatori di ricambio osseo hanno poco o nessun uso nella diagnosi di osteoporosi, nella previsione della massa ossea e nella capacità di monitorare la compliance.

Biopsia ossea

La biopsia ossea può essere utile per la diagnosi differenziale dei casi più difficili: si evidenzia una rarefazione delle travate dell’osso spugnoso, un assottigliamento delle travate residue, una riduzione di spes- zi sore della corticale, con allargamento dei canaÌi di Havers. Mancano i li bordi osteoidi dell’osteomalacia, manca l’intenso riassorbimento osteoclastico con fibrosi midollare dell ‘iperparatiroidismo primario.

Conclusione

Le conseguenze cliniche e l’onere economico dell’osteoporosi indicano la necessità di un intervento nelle donne ad alto rischio. Molti fattori di rischio sono associati all’osteoporosi e alla frattura, tra cui la massa ossea a basso picco raggiunta durante la crescita, fattori ormonali, l’uso di alcuni farmaci, il fumo di sigaretta, la bassa attività fisica, il basso apporto di calcio e vitamina D, la razza, una struttura corporea minuta e una storia personale o familiare di frattura. Tutti questi fattori dovrebbero essere presi in considerazione quando si valuta il rischio di frattura per determinare quali pazienti richiedono un’ulteriore valutazione e/o trattamento. Sebbene tutte le donne in postmenopausa debbano essere valutate mediante un esame fisico approfondito e l’acquisizione della storia clinica, le valutazioni radiologiche di laboratorio della BMD dovrebbero essere riservate ai pazienti più a rischio. Questi includono tutte le donne di età superiore ai 65 anni, le donne in postmenopausa più giovani con fattori di rischio e le donne in postmenopausa con una storia di fratture. Sebbene i marcatori biochimici del ricambio osseo abbiano dimostrato utilità nella ricerca clinica e negli studi, l’uso di tali test in pazienti specifici non è definito chiaramente e non sostituisce i test BMD. Insieme, l’uso giudizioso della valutazione dei fattori di rischio e delle misure oggettive della forza ossea può aiutare a identificare i pazienti che beneficeranno dell’intervento, riducendo così potenzialmente l’onere sociale ed economico dell’osteoporosi.

Osteomalacia

L’osteomalacia è una malattia scheletrica caratterizzata dalla mancata deposizione di calcio e fosforo sulla matrice ossea glicoproteica dell’osso; il tessuto osteoide è abbondante ma non si calcifica, in rapporto alla insufficiente concentrazione di calcio e fosforo nei liquidi organici. La fisiopatologia dell’osteomalacia è simile a quella del rachitismo, con la differenza che il rachitismo si manifesta prima della saldatura epifisaria, cioè in età pediatrica.

Classificazione

L’osteomalacia è dovuta alla insufficiente concentrazione di idrossiapatite sulla matrice organica dell’osso e della cartilagine, provocata dalla ridotta concentrazione del calcio e del fosforo inorganico nel siero. Questa deficienza calciofosforica può dipendere da ridotto assorbimento intestinale, da aumentata escrezione urinaria e, paradossalmente, da una deposizione minerale ossea eccessivamente elevata, nei giorni successivi alla asportazione di un adenoma paratiroideo. Anche la perdita di calcio e fosforo che si verifica durante la gravidanza e nel corso dell’allattamento può produrre osteomalacia, nei soggetti con particolare predisposizione.
La forma classica di rachitismo e di osteomalacia dipende dalla mancanza di vitamina D endogena o esogena. È stato infatti dimostrato che la vitamina D mantiene una concentrazione di calcio e fosforo nell’ambiente extracellulare adatto per la deposizione di idrossiapatite a livello della cartilagine e dell’osso.
La vitamina D endogena deriva da una provitamina, il 7-deidrocolesterolo, presente nell’epidermide umana, che viene trasformata nella forma attiva, la vitamina D3, da parte di particolari irradiazioni ultraviolette. Analogamente l’irradiazione ultravioletta dell’ergosterolo contenuto nel lievito e in certi vegetali conduce alla formazione di ergosterolo attivato o vitamina D2 (calciferolo). Il rachitismo e l’osteomalacia sono di frequente osservazione nei paesi in cui l’esposizione alla luce solare è ridotta e nei soggetti che ingeriscono scarse quantità di vitamina D.
La scarsità di vitamina D riduce l’assorbimento del calcio, che viene escreto con le feci; nel siero si osserva, non costantemente, ipocalcemia. L’ipocalcemia può mancare quando si instaura un iperparatiroidismo secondario in risposta al ridotto assorbimento calcico; ne sono prova l’ingrandimento delle paratiroidi e la presenza di osteite fibrosocistica riscontrabili all’autopsia di casi gravi di rachitismo o osteomalacia. Il mancato assorbimento di calcio condiziona anche una perdita di fosforo nelle feci con ipofosforemia, mentre l’iperparatiroidismo secondario prima ricordato aumenta l’escrezione di fosforo nelle urine. Questo schema patogenetico non è del tutto completo in quanto non chiarisce tutti gli aspetti del ricambio calciofosforato, ma spiega discretamente bene il quadro biochimico presente in questa affezione.
L’attività della fosfatasi alcalina è costantemente aumentata nel siero degli ammalati di rachitismo e osteomalacia, mentre appaiono ridotti, nel rachitismo, la concentrazione serica e ossea e l’escrezione urinaria del citrato.
Se la forma classica di rachitismo e osteomalacia dipende dalla deficienza di vitamina D, altre forme possono essere secondarie a deficienze di calcio e fosforo, secondo la classificazione patogenetica seguente:

Deficienza di vitamina D:

  1. A) ridotta produzione di vitamina D endogena nella pelle
  2. B) deficienza dietetica di vitamina D esogena
  3. C) ridotto assorbimento di vitamina D esogena (morbo celiaco, sprue, insufficienza pancreatica, ostruzione delle vie biliari, sindrome da malassorbimento)

Deficienza di calcio:

  1. A) deficienza alimentare
  2. B) ridotto assorbimento (deficienza di vitamina D, formazione di complessi insolubili con ossalati, fosfati o acidi grassi, iperalcalinità del contenuto intestinale, sindromi da malassorbimento)
  3. C) aumentata escrezione renale (ipercalciuria idiopatica, nefropatie glomerulari o tubulari croniche, acidosi renale tubulare)
  4. D) gravidanza e allattamento
  5. E) eccessiva sudorazione
  6. F) improvvisa deposizione ossea di calcio e fosforo dopo paratiroidectomia

Deficienza di fosforo:

  1. A) deficienza alimentare
  2. B) ridotto assorbimento (formazione di complessi insolubili con calcio, magnesio o ferro, sindrome da malassorbimento)
  3. C) aumentata escrezione (rachitismo resistente alla vitamina D o diabete fosfaturico, sindrome di Fanconi con perdita di fosfati, glucosio, aminoacidi, cistina, glicina, potassio).

Anatomia patologica

L’osteomalacia è caratterizzata all’esame anatomopatologico dal rammollimento delle ossa, con comparsa di fratture incomplete e deformazioni ossee, mentre le fratture complete sono rare. Le deformazioni più evidenti riguardano il torace, il bacino, la colonna vertebrale.
L’esame istologico dimostra un aumento dello spessore dei bordi osteoidi e una riduzione dell’osso calcificato. Nella corticale e a livello delle trabecole ossee è sempre presente una cospicua quantità di osteoide non calcificata.
La massa ossea totale, calcificata e non calcificata, può essere superiore alla norma. Vi è un aumento degli osteoblasti, mentre mancano gli osteoclasti: l’analisi chimica evidenzia una riduzione del peso specifico dell’osso malacico, con conservazione della matrice organica e riduzione del contenuto minerale.
Nell’osteomalacia e nel rachitismo non curato vi è sempre ipertrofia delle paratiroidi e nell’osso si possono osservare, accanto alle tipiche lesioni già descritte, aspetti che richiamano l’osteite fibrosa con ricchezza di osteoclasti nelle zone di riassorbimento e abbondante proliferazione di fibre connettivali.

Manifestazioni cliniche

Il quadro clinico dell’osteomalacia è diverso secondo la gravità della forma. Si distingue un’osteomalacia biochimica, quando l’ipocalcemia è corretta dall’iperparatiroidismo secondario, la fosfatasi alcalina del siero è normale e non esiste osteopatia. Vi è poi un’osteomalacia con aumento della fosfatasi alcalina da eccesso di attività osteoblastica, senza dimostrazione clinica o radiologica di osteopatia. Nella forma più grave (sindrome di Milkman) vi è dolore osseo, l’esame radiologico evidenzia le pseudofratture o fratture incomplete, generalmente bilaterali e simmetriche. Nella forma più avanzata la radiotrasparenza delle ossa è generalizzata e marcata, e sono presenti gravi deformità scheletriche.
Il dolore osseo spontaneo e la dolorabilità ossea sono caratteristici dell’osteomalacia, e sono in questa forma più intensi che in ogni altra osteopatia metabolica. Intenso è il dolore alla colonna lombosacrale, in rapporto o meno al cedimento di uno o più corpi vertebrali.
La localizzazione delle deformazioni scheletriche dipende dall’età di insorgenza della malattia e dalla posizione che il paziente assume. Perciò il quadro clinico del rachitismo nel bambino (craniotabe, rosario rachitico, ingrossamento delle epifisi ossee – specialmente ai polsi e alle caviglie – cifosi dorsolombare, varismo o valgismo delle ginocchia, coxa vara, ritardo della dentizione) è differente da quello dell’adulto (deformità delle ossa lunghe, dolore e fratture spontanee a carico della colonna, del bacino, delle coste, degli arti).
Caratteristica dell’osteomalacia è anche la debolezza muscolare, che può essere aggravata da una concomitante ipopotassiemia. Altro sintomo facilmente osservabile è la tetania, in rapporto alla riduzione del calcio ionizzato del siero.
Altri sintomi a carico del sistema digerente o delle vie urinarie sono presenti quando l’osteomalacia è secondaria ad affezioni gastroenteriche o renali.

Esami di laboratorio

La calcemia è quasi sempre diminuita, anche se in grado non elevato (fra gli 8 e i 9 mg/100 cc), la fosforemia è generalmente diminuita (fra i 2 e i 3 mg/100 cc), la fosfatasemia alcalina è leggermente aumentata (6-10 U.B.), così come l’osteocalcina; il prodotto fosfo-calcico (fosforemia mg/100 cc x calcemia mg/100 cc), che raggiunge normalmente il valore di 30, è abbassato sotto il 25.
La calciuria è di solito abbassata (fino a 50 mg/die); è elevata solo in alcune forme secondarie a nefropatia; la fosfaturia è generalmente normale; in qualche caso è stata riscontrata aumentata escrezione urinaria di aminoacidi. Frequente un modesto aumento della velocità di eritrosedimentazione.

Reperti radiologici

L’esame radiologico evidenzia nell’osteomalacia una decalcificazione diffusa, le fessure simmetriche e trasparenti di Looser-Milkman (interruzioni delle corticali), le importanti deformazioni ossee. La decalcificazione diventa evidente all’esame radiologico solo quando l’osso ha perso il 30 % del suo contenuto minerale; si distingue dalla decalcificazione dell’osteoporosi perché il disegno del contorno dell’osso e della trama ossea è meno netto e più sfumato: soprattutto il bacino e la colonna vertebrale presentano un’opacità quasi omogenea con scomparsa della normale trama ossea. Nelle vertebre l’omogeneità della struttura è tale da ricordare l’aspetto radiologico di una tomografia.
Nell’osteomalacia le fessure ossee sono costanti e patognomoniche e sono spesso responsabili della sintomatologia dolorosa; sono numerose e spesso simmetriche, localizzate di preferenza al bacino, al terzo prossimale dei femori, alle coste, alle scapole, alle clavicole.
Esse si presentano come zone radiotrasparenti lineari della larghezza media di 2-3 mm, a decorso rettilineo o serpiginoso, perpendicolare all’asse meccanico dell’osso. Possono essere complete o incomplete, a seconda che interessino l’osso a tutto spessore o in parte. I bordi delle fessure sono generalmente sfumati e l’osso adiacente presenta un’opacità aumentata dello spessore di 2-5 mm; all’estremità delle fessure si osserva frequentemente una periostosi perifissurale (osteofitosi sottoperiostea), che forma dei piccoli speroni a diverso grado di ossificazione.
Non esiste di solito spostamento dei frammenti, essendo quasi sempre la fessura incompleta; quando la fessura è a tutto spessore, nelle localizzazioni dove le forze applicate tendono a incurvare l’asse fessurato (a livello del collo femorale, delle branche ischiopubiche, delle coste, delle clavicole), ci può essere spostamento dei frammenti e l’immagine radiologica è assai simile a quella delle fratture.
L’immagine del callo osseo è di frequente osservazione solo nelle fessure di determinate ossa (ischio, pube, coste, radio e ulna), essendo la mancanza di callo osseo una delle caratteristiche importanti delle fessure di Looser-Milkman.
Le deformazioni ossee sono più evidenti all’esame radiologico che all’esame clinico e sono localizzate alla colonna vertebrale, al bacino, alle coste. Tipica la cifosi o la cifoscoliosi dorsale con aspetto omogeneo della struttura delle vertebre.
Nel bacino è caratteristico l’aspetto a cuore di carta da gioco per la protrusione degli acetaboli all’interno del piccolo bacino. L’inflessione dei colli femorali fessurati può condizionare una coxa vara.

Diagnosi differenziale

La diagnosi dell’osteomalacia si basa sulle caratteristiche cliniche, sulle alterazioni biochimiche, sulle manifestazioni radiologiche considerate nei precedenti capoversi.
Per quanto riguarda le alterazioni biochimiche, vogliamo ricordare che l’ipocalcemia, l’ipofosforemia e l’aumento della fosfatasi alcalina del siero permettono di distinguere l’osteomalacia dalle altre osteopatie metaboliche, in quanto nell’iperparatiroidismo primario la calcemia è aumentata e la fosforemia diminuita, mentre nell’iperparatiroidismo secondario da nefropatie la fosforemia è elevata, e nell’osteoporosi calcio, fosforo e fosfatasi alcalina del siero sono normali.

Principi di terapia

Il trattamento dell’osteomalacia si fonda sulle somministrazioni di dosi adeguate di vitamina D per via orale o in taluni casi per via endovenosa. In caso di carenza di calcio o fosforo nel sangue, è consigliabile un’integrazione anche di questi minerali.
È possibile vedere miglioramenti in poche settimane. La guarigione completa delle ossa richiede circa sei mesi.
Nelle forme secondarie, si dovranno ovviamente correggere la sindrome di malassorbimento o la nefropatia responsabile dell’alterazione metabolica.