EPIDEMIOLOGIA, FISIOPATOLOGIA E VALUTAZIONE CLINICA DELLA LOMBALGIA
Introduzione
Lo studio della epidemiologia e del trattamento della lombalgia (Low Back Pain) è condizionato dalla mancanza di consenso unanime sulla definizione di base dei termini e sull’equivoco tra ricercatori e medici se il paziente con LBP possa essere considerato significativamente come appartenente ad un unico gruppo. La lombalgia dovrebbe essere considerata un sintomo piuttosto che una malattia. Per semplificare gli studi di economia sanitaria è stato utile riunire tutti i pazienti affetti da lombalgia in un singolo gruppo per calcolare alcune variabili come la perdita di lavoro e i costi sociali. Tuttavia, gli studi clinici che riportano fattori di rischio specifici, la sensibilità e la specificità dei test diagnostici, o l’efficacia del trattamento nei pazienti con lombalgia, e che sono stati raggruppati insieme in maniera indiscriminata, dovrebbero essere valutati con cautela. La lombalgia può essere il sintomo dominante di una varietà di condizioni mediche differenti, e includono lesioni acute muscolo-legamentose, fratture vertebrali, lesione del disco intervertebrale o degenerazione dello stesso, spondilosi, instabilità, o artrosi delle faccette articolari. Il ruolo di molte di queste condizioni come fonte di dolore rimane spesso controverso.
Epidemiologia
L’epidemiologia di uno studio randomizzato sulla popolazione consente di valutare l’estrema prevalenza di lombalgia significativa nella popolazione generale. La lombalgia è seconda solo alla cefalea come dolore sperimentato da un soggetto lungo il corso della propria vita, con una prevalenza durante la vita dal 60 all’80% (1-9). Il Dipartimento della Salute degli Stati Uniti ha stimato che la lombalgia cronica limita l’attività di circa un terzo della popolazione in ogni momento dell’anno (8). Nella maggior parte dei casi la lombalgia viene descritta in termini di episodi e la recidiva anche di dolore lieve o moderato è di breve durata. Queste caratteristiche fanno sì che l’incidenza del dolore quotidiano durante l’anno non venga ritenuta utile per stabilire il tasso di prevalenza generale (10).
Per quanto il tasso di incidenza tra vari gruppi etnici sia variabile, molta della variabilità appare connessa alla differente definizione di lombalgia piuttosto che a reali differenze tra la popolazione. Una definizione chiara della lombalgia si rende quindi indispensabile per reinterpretare gli studi eseguiti. La lombalgia è un dolore avvertito nella regione posteriore della colonna vertebrale nel tratto compreso tra il margine costale e la piega glutea. La maggior parte degli studi sulla lombalgia pongono l’attenzione sul dolore non specifico senza una patologia molto ben definita, e per includere un episodio di dolore nella definizione bisogna che questo abbia una durata minima di 24 ore.
Dopo aver definito la patologia in questo modo, molti paesi riportano dati comparabili di lombalgia. L’incidenza durante il corso della vita in Inghilterra e in Belgio è di circa il 60%, mentre il tasso di prevalenza in Scandinavia e Australia è più alto, fino all’80% (2, 4, 6, 11-13). Studi condotti in Tibet e in Nigeria hanno riportato l’incidenza nell’anno, rispettivamente, del 42% e del 40% (14, 15). Il maggior limite degli studi retrospettivi è la potenzialità di avere una campionatura ed un corretto rilievo dei dati attraverso un questionario. Le sottopopolazioni selezionate per lo studio non necessariamente sono rappresentative della popolazione generale e molti fattori possono essere identificati come episodi di precedenti lombalgie riportati nel questionario (7, 11, 16-18). In particolare, l’esperienza di lombalgia al momento dell’indagine sembra amplificare il ricordo degli episodi precedenti. Persone appartenenti al governo o all’industria possono minimizzare l’esperienza dell’episodio doloroso e non richiedono una valutazione, un trattamento medico o l’inquadramento nell’ambito della medicina legale. Uno studio eseguito in Danimarca ha svelato che soltanto il 25% dei soggetti che riferivano un episodio di lombalgia si sono rivolti a un medico e meno di 1 su 20 lo ha utilizzato per richiedere una invalidità pensionabile.
La lombalgia spesso viene vista come un problema della età media o delle persone anziane, ma uno studio epidemiologico recente suggerisce che l’età di esordio si distribuisce tra la seconda e la quinta decade di vita. L’esordio iniziale di lombalgia significativa oltre la sesta decade viene considerata rara (7). La lombalgia è di comune riscontro tra i ragazzi e nell’adolescenza, con una prevalenza simile a quella che si può trovare nella popolazione adulta. Uno studio prospettico su bambini in età scolare in Svezia ha svelato la prevalenza annuale di lombalgia nel 26% dei casi (20). Burton et al. (21) hanno condotto uno studio prospettico sulla storia naturale della lombalgia negli adolescenti e hanno riportato un’incidenza nel corso della vita di circa il 12% all’età di 11 anni che aumenta fino al 50% all’età di 15 anni. Per quanto gli autori abbiano considerato la maggior parte degli adolescenti con lombalgia come non significativi, vi è una forte evidenza che l’incidenza di lombalgia nell’infanzia e nell’adolescenza è un fattore predittivo della possibile recidiva di dolore durante l’età adulta (22).
Lombalgia occupazionale e invalidità
L’incidenza di lombalgia correlata all’invalidità differisce dalla semplice incidenza di lombalgia e varia da paese a paese ed in rapporto al tempo. L’invalidità è la limitazione nell’esecuzione di attività personali e legate al lavoro e molti esperti ritengono che fattori psicologici, sociali e politici giochino un ruolo significativo se non dominante nel determinare in un individuo la nozione di invalidità (23-26). Negli Stati Uniti la lombalgia, tra le patologie della colonna lombare, è la causa più importante di perdita di ore lavorative negli individui più giovani di 45 anni, e la terza causa più comune tra gli individui tra i 45 e 65 anni (27). In Svezia la lombalgia è la causa più comune di malattia cronica fra gli individui di età inferiore ai 64 anni ed è seconda soltanto alle patologie vascolari negli individui sopra i 65 anni (7). Negli Stati Uniti l’incidenza annuale di invalidità per lombalgia varia tra il 7% e il 14% tra tutti i lavoratori. Un’indagine nazionale eseguita tra più di 30.000 lavoratori fornisce la stima migliore della perdita di ore lavorative collegata alla lombalgia. Nel 1988 si stima che il 17,6% di tutti i lavoratori (22,4 milioni di persone) si è assentata dal lavoro per un totale di 149 milioni di giorni. La durata dell’invalidità sembra essere predittiva rispetto al ritorno al lavoro, con un’incidenza di ritorno al lavoro dopo un anno del 25% ed una incidenza trascurabile dopo i due anni (29).
Circa l’1% della popolazione degli Stati Uniti viene considerata permanentemente invalida a causa della lombalgia e un altro 1% viene considerato invalido in modo temporaneo (30).
L’ampia variabilità nel tasso di invalidità tra i Paesi e nel tempo è stata attribuita alle specifiche attitudini culturali riguardo al dolore e all’invalidità, e alla differenza delle leggi che regolano la distribuzione dei rimborsi per l’invalidità. In Svezia si riporta un’incidenza maggiore di invalidità correlato alla lombalgia rispetto agli Stati Uniti. Nel 1988 circa 22,4 milioni di americani hanno perso complessivamente 149 milioni di giorni di lavoro a causa della lombalgia con un’incidenza di 6,7 giorni per ciascun lavoratore durante l’anno (28). In confronto, 4 milioni di lavoratori in Svezia hanno perso complessivamente 50 milioni di giorni di malattia a causa della lombalgia con un tasso di 11,4 giorni per ogni singolo lavoratore durante l’anno. In Inghilterra nel 1992 l’incidenza di invalidità per lombalgia nell’anno solare è stata dell’11% negli uomini e del 7% per le donne, con un’incidenza complessiva durante la vita del 34% e del 23% rispettivamente (6). I dati nazionali sull’invalidità sono inficiati dalle modifiche legislative. In Svezia l’incidenza ufficiale di patologia lombare correlata al lavoro diminuì dell’80% tra il 1995 e il 1996 in concomitanza con l’introduzione di linee guida più severe per l’identificazione del rimborso di invalidità da lombalgia (7).
La lombalgia viene considerata come la maggior causa di perdita di tempo lavorativo nei paesi industrializzati (31, 32). Negli Stati Uniti oltre un milione di richieste di risarcimento per invalidità lavorativa riguardano ogni anno la lombalgia, un dato che rappresenta circa il terzo del numero totale di richieste. I costi diretti ed indiretti associati alla lombalgia negli Stati Uniti sono stimati in oltre 100 miliardi di dollari per anno. La distribuzione di questi costi viene monitorizzata con attenzione, tuttavia il 10% delle persone con lombalgia cronica sono causa dell’80% dei costi totali (33-35). La distribuzione dei costi diretti è stata calcolata nel periodo dal 1988 al 1992, utilizzando un database amministrativo del National Council on Compensation Insurance (36). Questo database, inoltre, mostra che i costi dell’assistenza sanitaria vengono distribuiti in maniera irregolare, con il 20% dei lavoratori invalidi per più di quattro mesi, responsabili del 60% dei costi diretti. Le procedure diagnostiche rappresentano la fonte più elevata di costi della salute pubblica, approssimativamente rappresentano il 25% dei costi totali. Il trattamento chirurgico e la terapia fisica sono, secondo e terzo, responsabili del 21% e del 20% dei costi rispettivamente.
Numerosi studi prospettici hanno identificato i fattori di rischio per il passaggio all’invalidità a lungo termine e hanno evidenziato le caratteristiche psicologiche e socioeconomiche degli individui (37-43). L’incidenza di guarigione completa è direttamente correlata con il lavoro a basso impatto fisico e ad un aumento del tempo libero; il fumo di sigaretta può essere associato ad un minore tasso di guarigione (44).
Franse et al. (41) hanno condotto uno studio prospettico su 854 lavoratori che hanno inoltrato una richiesta di invalidità in Nuova Zelanda per identificare elementi riferiti al paziente e predittivi di lombalgia cronica in un sistema di attribuzione dell’invalidità chiaro ed equilibrato (41). Sono stati identificati molti fattori indipendenti che determinano la cronicità, inclusa la presenza di dolore irradiato agli arti inferiori di natura severa (Rischio Relativo [RR] 1,9), obesità (RR 1,7), un lavoro che richiede il sollevamento di carichi per più del 75% del giorno (RR 1,7) e mancanza di disponibilità di incarichi più leggeri (RR 1,7). L’indice di invalidità Oswestry, un ottimo questionario di valutazione della lombalgia, consente di attribuire un punteggio che è maggiormente predittivo della possibilità di cronicizzazione del dolore (RR da 3,1 a 4). In modo simile, un punteggio soglia di 6 di un General Health Questionnaire-28, che viene indicato dalla OMS come sensibile e specifico all’80% nei vari gruppi culturali per identificare disordini psicologici significativi, è stato identificato come un altro fattore di rischio indipendente di cronicizzazione (RR 1,9) (45). Malgrado la diffusa opinione contraria, non esiste alcun dato evidente che l’incidenza di lombalgia cronica sia aumentata nella popolazione generale con il tempo (46). Una revisione della letteratura scandinava dal 1954 ha rivelato nessun significativo aumento nell’incidenza di lombalgia (47). Negli Stati Uniti l’incidenza di invalidità da lombalgia ha avuto una fluttuazione senza indicazioni chiare sull’andamento, per quanto un’analisi condotta nello stato di Washington riporti una riduzione dell’incidenza del 30% dal 1987 al 1995 (30).
Fattori di rischio
Centinaia di studi clinici hanno descritto i fattori di rischio correlati allo sviluppo della persistenza di lombalgia non specifica. Questi studi sottolineano in maniera particolare le caratteristiche fisiche specifiche del paziente, l’attività fisica, l’ambiente di lavoro e lo stato psicologico e socioeconomico. Sfortunatamente la maggior parte degli studi è di difficile o impossibile interpretazione a causa della metodologia e del¬l’analisi statistica inadeguata. In molti studi il fattore predittivo più importante per la comparsa di lombalgia appare essere il ricordo di un episodio di lombalgia, che conferma la natura cronica degli episodi nella maggior parte dei casi (24, 48-56). Decine di studi sulla popolazione confermano con forza un’associazione tra l’esecuzione di lavori ripetitivi e l’atteggiamento posturale lavorativo con sviluppo di lombalgia. La maggior parte degli studi rileva piegamenti ripetitivi, il sollevamento di pesi o manovre di rotazione e la posizione prolungata in piedi (24, 48, 57-64). Lavori nei quali è necessario spingere e tirare sembrano maggiormente associati con dolore alla spalla piuttosto che alla lombalgia (65, 66). La guida di automezzi, e le vibrazioni a cui si è esposti possono rappresentare dei fattori di rischio (67-69). I primi studi che suggerivano che la posizione seduta durante il lavoro rappresenta un fattore di rischio sono stati criticati per la metodologia della ricerca, ma studi più recenti hanno dimostrato che un lavoro sedentario non ha incidenza sulla lombalgia o addirittura può rappresentare una condizione di protezione rispetto a questa malattia (17, 70, 71).
Per definizione uno studio incrociato valuta lo stato di un singolo lavoratore in presenza o in assenza sia del fattore di esposizione che della malattia nello stesso momento. Poiché le valutazioni dell’esposizione alla malattia sono fatte nello stesso istante, la relazione temporale della relazione causa-effetto non può essere determinante. Come minimo si richiede un’analisi statistica multipla regressiva per eliminare le associazioni spurie. Un importante fattore di disturbo negli studi incrociati nella popolazione lavorativa è il cosiddetto effetto “lavoratore sano”, per il quale un lavoratore in buona salute tende a rimanere nel proprio posto di lavoro, e se cambia lavoro tende ad avere uno stato di salute inferiore (17).
Hartvigsen et al. (17) hanno eseguito sia uno studio incrociato che uno studio prospettico a 5 anni su 1.397 e 1.163 danesi rispettivamente, analizzando la proporzione di lavoratori che si trasferivano tra gruppi di lavoro differente. Veniva segnalato un alto indice di turnazione, con il 67% dei soggetti che variava in modo significativo per i carichi lavorativi durante il periodo di 5 anni. Paragonati ai lavoratori senza lombalgia, un numero sproporzionato di lavoratori con lombalgia cambiava il lavoro da pesante a sedentario. Di contro, il gruppo di lavoratori che passavano da un lavoro sedentario ad un lavoro pesante nello stesso periodo era rappresentato da un numero considerevole di soggetti che non sviluppavano lombalgia. Il risultato di questo effetto “lavoratore sano” era stato quello di selezionare molti soggetti affetti da lombalgia per un lavoro sedentario. Un’associazione vera e inequivocabile tra lavoro pesante e lombalgia, nello studio prospettico veniva eliminato nello studio incrociato, sottolineando così ancora una volta l’inadeguatezza dello studio incrociato per l’identificazione dei fattori di rischio occupazionali nella lombalgia.
Un obiettivo primario degli studi epidemiologici è l’identificazione di fattori di rischio che possano essere modificati. Sfortunatamente, nessun dato evidenzia l’efficacia di interventi volti a migliorare l’ergonomia dei posti di lavoro riguardo alla lombalgia. Uno studio condotto in Inghilterra sulle infermiere in due ospedali ha riportato una maggiore incidenza di lombalgia nel gruppo di lavoratrici dell’ospedale che aveva perseguito una politica di intenso adeguamento dell’ergonomia del posto di lavoro (72).
Sport e attività ricreative
I dati che confermano l’evidenza che un’attività sportiva regolare riduca il rischio di lombalgia sono limitati (73-81). Vengono riportati dati contrastanti sulla relazione tra la marcia e la corsa e lo sviluppo di lombalgia (76, 82, 83). La prevalenza di degenerazione discale radiografia è maggiore nella popolazione sportiva rispetto ai non sportivi e il tasso di spondilosi sintomatica è particolarmente accentuato nei soggetti che praticano determinati sport come la ginnastica ed il sollevamento pesi (84). In uno studio longitudinale di una popolazione di lavoratori dell’industria, Stevenson et al. (85) riportano che mantenere un’attività fisica costante ha un effetto significativo nel ridurre l’incidenza di lombalgia.
Obesità
La correlazione tra obesità e lombalgia è debole, e molti studi hanno fallito nel dimostrare un’associazione significativa (69, 86-90). Una revisione sistematica di 65 studi ha rivelato che il 32% di essi riportava una relazione debole, anche se statisticamente significativa, tra obesità e lombalgia (90). Uno studio incrociato eseguito in Olanda su 19.905 persone ha individuato un’associazione tra obesità e lombalgia nelle donne ma non negli uomini (91). Deyo e Bass (92), utilizzando i dati di un’indagine nazionale e un’analisi a regressione multipla, hanno identificato l’obesità come un fattore indipendente di rischio con un Rischio Relativo (RR) pari a 1.7 per gli individui con un’obesità maggiore del 20%. Non vi sono studi accettabili che riportino un Rischio Relativo superiore a 2. Dopo aver applicato i criteri di casualità di Bradford Hill (forza di associazione, relazione dose-risposta, temporalità, reversibilità e consistenza), gli Autori hanno concluso che dalla letteratura corrente non può essere stabilita una relazione causale.
Tuttavia, vi è una forte evidenza che dopo un episodio di lombalgia via sia una relazione tra obesità e dolore cronico. Le-bouef-Yde et al. (89), in uno studio condotto utilizzando dati del Danish Twin Register su 29.424 gemelli, riportano una consistente ma debole associazione tra obesità e lombalgia, con un’associazione più forte del rischio di sviluppare lombalgia che duri più di 30 giorni. Comunque, non è stata identificata nessuna differenza significativa di rischio nei gemelli monozigoti con una differenza di peso corporeo. Gli Autori concludono che l’obesità è moderatamente associata al dolore cronico o ricorrente ma che i dati sui gemelli monozigoti indicano come improbabile un rapporto di causalità.
Fumo
Nonostante un ottimo studio su modello animale biologico sulla degenerazione discale indotta dalla somministrazione di nicotina e da molti meccanismi biologici considerati come plausibili, l’evidenza epidemiologica di una relazione tra fumo e lombalgia rimane incerta. I meccanismi di relazione tra fumo e lombalgia, proposti ma non comprovati, sono l’aumento della pressione discale determinata dalla tosse, riduzione del flusso ematico vertebrale, la ridotta fibrinolisi e la riduzione della mineralizzazione ossea che genera microfratture (93) . La maggior parte degli studi che identificano il fumo come un rischio significativo sono stati realizzati con metodo incrociato (24, 54, 88, 93-102). Utilizzando i dati di un’indagine nazionale e di un’analisi di regressione multipla, Deyo e Bass (92) hanno identificato il fumo di si¬garetta come un fattore di rischio indipendente. Il rischio aumenta in rapporto alla durata del fumo ed è particolarmente pronunciato nelle persone più giovani di 45 anni. Dieci anni dopo aver smesso di fu¬mare, il tasso di lombalgia in questi individui diventa uguale a quello dei non fumatori. Leboeuf-Yde et al. (103) hanno condotto uno studio per mezzo di questionari su più di 25.000 gemelli iscritti al Danish Twin Register ed hanno riportato un’associazione significativa tra fumo e lombalgia che diventa maggiormente evidente con l’aumento della durata dell’episodio di lombalgia. Tuttavia, non sono state identificate differenze significative nei gemelli monozigoti che avevano un comportamento differente riguardo al fumo, e smettere di fumare non è stato associato a una ridotta prevalenza di lombalgia. Gli Autori concludevano che l’associazione fosse casuale e che una relazione causale non è evidente.
Fattori psicosociali
Molti studi identificano fattori psicosociali quali lo stress emotivo, come fattori di rischio per la lombalgia (58, 104). L’insoddisfazione sul lavoro, in particolare, è stata normalmente associata alla lombalgia da lavoro e all’invalidità (50, 51, 60, 62, 79, 105-110). Uno studio incrociato su 5.781 britannici nati nel 1958 ha identificato fattori psicologici all’età di 23 anni come l’unico fattore di rischio più forte per lombalgia ad un’età tra 32 e 33 anni (94). Un altro studio prospettico su 114 infermiere durante il loro primo anno di lavoro ha incluso un sottogruppo di 24 infermiere nelle quali è stato misurato ad intervalli regolari il livello di catecolamine urinarie. L’aumentato rischio di lombalgia è stato associato all’aumento dell’attivazione del sistema simpatico-surrenalico e al basso livello di controllo sul lavoro (111).
Molti studi suggeriscono che un basso grado di istruzione è associato con una lombalgia, ma questo dato rimane controverso. Una revisione effettuata da Dionne et al. (112) su 64 studi che miravano a stabilire una relazione tra il livello di cultura e la lombalgia, ha concluso che esistono dati che consentono di mettere in relazione un basso livello culturale con la lombalgia. Sembra esserci un’associazione più forte con la durata dei sintomi e la recidiva di lombalgia piuttosto che con l’intensità del dolore. Sono stati suggeriti diversi meccanismi che possono spiegare questi risultati, inclusi alcuni elementi comportamentali ed ambientali di rischio, il diverso tipo di impiego lavorativo e un accesso ridotto alle cure mediche.
Fattori psicologici.
I disordini psicologici e dell’umore come ansia e depressione sono stati associati spesso con la lombalgia (113). Il modello bio-psicosociale di una lombalgia non specifica è stato convalidato da molti medici e tende a sottolineare le caratteristiche non organiche come determinanti del comportamento della lombalgia, della cronicità e dei risultati del trattamento (114, 115). Pincus et al. (116) hanno condotto una revisione completa e critica sul ruolo dei fattori psicologici nello sviluppo della lombalgia cronica. Solo 6 studi raggiungevano i criteri rigorosi di metodologia e analisi, e i risultati più importanti di questi studi sono stati che i disturbi psicologici ed i sintomi di depressione dell’umore rappresentavano un valore predittivo di scarso risultato indipendentemente dal dolore e dalla funzione di base. La somatizzazione è stata identificata come un valore predittivo in due studi. L’analisi statistica con il metodo dimensioni-effetto di Cohen ha rivelato un modesto effetto per i disturbi psicologici e per il tono dell’umore depresso e un effetto variabile per la somatizzazione (116).
Gravidanza.
La lombalgia è un sintomo comune durante la gravidanza e si stima che interessi circa il 68% delle donne gravide (117). Per quanto si tratti tipicamente di un sintomo modesto e che generalmente ha una prognosi buona a lungo termine, il tasso di dolore persistente dopo due anni dal parto può essere più alto del 21% (118). I fattori di rischio che possono essere associati alla lombalgia durante la gravidanza includono l’età giovane e un’anamnesi di lombalgia con o senza gravidanza (117). Il dolore persistente dopo il parto è stato associato con l’età maggiore e un peso corporeo aumentato (118).
Lombalgia durante l’infanzia
I fattori di rischio ipotizzati per la lombalgia nell’infanzia sono simili a quelli degli adulti ed includono il sollevamento di carichi, le flessioni ripetitive, mantenere a lungo la posizione seduta ed il fumo di si¬garetta (119). È stato riportato anche un fattore di associazione tra la lombalgia nell’infanzia e la presenza dello stesso sintomo nei genitori (120).
Uno studio prospettico su 1.046 bambini britannici di età compresa tra 11 e 14 anni ha cercato di identificare i fattori di rischio per un nuovo esordio della lombalgia dopo un anno dal primo episodio (121). Fattori di rischio significativi includono difficoltà psicosociali o problemi di condotta così come un alto numero di sintomi somatici di base (ad esempio, dolore addominale, cefalea, mal di gola). Il peso dello zaino non si è dimostrato importante per l’associazione con la lombalgia. Per quanto alcuni studi hanno dimostrato che tra il 30% ed il 54% dei bambini delle scuole elementari lo zaino ecceda del 15% il loro peso corporeo, e i genitori molto frequentemente si lamentano del peso dello zaino che i bambini devono portare a scuola, le evidenze cliniche ricavate da numerosi studi sono piuttosto inconsistenti (119, 121-124).
Sciatica
La presenza di sciatica nei pazienti con una lombalgia è di importanza critica nel determinare la diagnosi, il trattamento e la prognosi. Sfortunatamente la maggior parte degli studi sulla popolazione con lombalgia sono inadeguati nel distinguere la sciatica vera, definita come dolore distribuito lungo gli arti inferiori secondo una distribuzione radicolare, dal più comune dolore riferito non specifico. L’incidenza, durante la vita, di dolore agli arti inferiori associata con lombalgia è stata riportata variabile tra 14% e 40% ma questi dati sembrano gonfiati da un’alta percentuale di individui che presentavano piuttosto un dolore riferito. Heliovaara et al. (125) in Finlandia hanno applicato criteri restrittivi per identificare gli episodi incerti e hanno riportato nei maschi un’incidenza di lombalgia del 77% durante la vita, un’incidenza di associato dolore agli arti inferiori del 35%, e il 5% di sciatica vera. Nelle donne i dati erano rispettivamente del 74%, del 45% e del 4%. Per quanto la sciatica tradizionalmente sia considerata come un sintomo che ha una prognosi favorevole a lungo termine, studi recenti suggeriscono sorprendentemente un’alta incidenza di cronicizzazione del dolore. In uno studio prospettico condotto su 622 operai elettricisti e della compagnia del gas in Francia che riferivano sciatica, il 53% denunciava la persistenza dei sintomi dopo quattro anni (126). Guidare per più di 2 h al giorno, portare pesi notevoli, l’anamnesi di disturbi psicosomatici e l’anamnesi di sciatica almeno un anno prima sono fattori predittivi di un’evoluzione peggiore.
Fattori di rischio per la sciatica
Pochi studi epidemiologici hanno focalizzato i fattori di rischio per l’esordio e la persistenza della sciatica in contrapposizione alla lombalgia. Mirando et al. (82) riportano uno studio prospettico ad un anno nel quale si mettono a paragone 2.077 lavoratori senza sciatica con 327 lavoratori con sciatica. Fattori di rischio significativi includono l’età avanzata, il fumo, le torsioni del tronco legate all’attività lavorativa, la passeggiata attiva come componente di un esercizio fisico regolare, e un autoriferito stress mentale. I fattori di rischio per sciatica persistente includevano l’età, l’anamnesi di fumo, lo jogging attivo, lo stress mentale e l’insoddisfazione sul lavoro. In generale, gli Autori ritengono che le caratteristiche del lavoro fisico sono molto più significative come fattore di rischio per l’esordio della sciatica mentre i fattori psicosociali sono molto più importanti per quanto riguarda la sua persistenza.
Storia naturale
Come descritto precedentemente, la lombalgia è un disturbo relativamente comune durante l’adolescenza e tende a mantenere una incidenza costante di nuovi episodi acuti durante la mezza età. Studi condotti in Europa riportano una prevalenza del 10% che arriva al 13% durante l’adolescenza (119, 127). La prevalenza di lombalgia negli adulti è così elevata che dovrebbe essere considerata come una parte delle normali esperienze di vita nella maggior parte degli individui. Per quanto molti pazienti ricordino uno specifico evento come il sollevamento di un peso o manovre di torsione legate temporalmente all’esordio acuto del dolore, molti non riportano alcuna anamnesi di trauma antecedente.
Poiché la lombalgia non specifica è un’entità clinica non chiaramente definita, la storia naturale viene studiata ed interpretata con molta difficoltà. Anche quando si utilizzano tecniche di diagnostica per immagini avanzate come la risonanza magnetica, nella maggior parte dei pazienti il meccanismo patologico del dolore non può essere stabilito chiaramente (128). Senza una diagnosi precisa, il trattamento rimane aspecifico e di natura sintomatica. Fortunatamente, la maggior parte delle lombalgie è relativamente benigna ed è caratterizzata da dolore moderato che è facilmente controllato da una combinazione di un breve periodo di riposo, da cambiamento dell’attività lavorativa, da applicazione occasionale di fattori come il caldo o da farmaci non narcotici (129). Il 42% dei pazienti con lombalgia lamenta episodi persistenti ogni anno (130). Per quanto la lombalgia non specifica tenda a recidivare in maniera episodica per molti anni, la prognosi generale per quanto riguarda la guarigione da ogni episodio viene considerata buona, e il risultato a lungo termine appare simile, indipendentemente dal trattamento.
La storia naturale dell’invalidità dovuta alla lombalgia si distingue da quella della lombalgia stessa. Un’attività lavorativa specifica ed elementi legati al posto di lavoro giocano un ruolo, ed i fattori psicosociali hanno dimostrato di essere significativi per quanto riguarda l’evoluzione cronica. La lombalgia cronica si associa maggiormente a una condizione di invalidità e spesso peggiora con il passare del tempo (130-133). La storia naturale della spondilolisi e della spondilolistesi è stata esaminata in uno studio longitudinale durato 45 anni su 500 bambini non selezionati per alcun tipo di lombalgia (134). Durante il periodo di follow-up, in 30 soggetti (6%) è stata posta la diagnosi di spondilolisi. Non sono state identificate differenze significative nel punteggio SF-36 tra i soggetti con spondilolisi e spondilolistesi e la popolazione generale di pari età. L’incidenza di progressione dello scivolamento nei pazienti con spondilolistesi si riduce costantemente con il passare dei decenni, e non c’è alcuna associazione tra la progressione dello scivolamento e la lombalgia, per quanto nessuno dei soggetti abbia avuto uno scivolamento oltre il 40%. Il trattamento non chirurgico si dimostra adeguato nel controllare i sintomi in circa il 60% dei pazienti con lombalgia dovuta a spondilolistesi (135).
Fisiopatologia
Spondilosi e degenerazione discale
La spondilosi e la degenerazione del disco sono reperti caratteristici delle radiografie tradizionali, della tomografia computerizzata, e della risonanza magnetica nella maggior parte dei pazienti con lombalgia non specifica. La spondilosi si riferisce alle alterazioni degenerative strutturali correlate con l’età della colonna vertebrale. Elementi specifici che spesso sono evidenti sulle radiografie includono gli osteofiti marginali del corpo vertebrale, l’ipertrofia delle faccette articolari, l’ipertrofia del legamento giallo nella spondilolistesi multidirezionale. In questo concetto di spondilosi è implicita l’idea che queste alterazioni anatomiche riflettano stress biomeccanici subiti durante il corso della vita di un individuo. La degenerazione del disco attualmente è una delle affezioni maggiormente discusse nella patologia della colonna vertebrale, con pochi consensi in termini di definizione, valutazione, diagnosi o trattamento. È stato chiarito che le alterazioni istologiche e radiografiche del disco intervertebrale lombare sono abbastanza comuni nei soggetti asintomatici tanto che queste alterazioni dovrebbero essere considerate come un normale fattore di invecchiamento. La prevalenza di alterazioni specifiche, che includono la disidratazione del disco, la protrusione, la perdita di altezza e la fissurazione, sembrano aumentare con l’età e non necessariamente riflettono la presenza o la progressione di lombalgia sintomatica (136-138). Boden et al. (139) hanno valutato la risonanza magnetica di 67 soggetti senza lombalgia e hanno identificato la degenerazione del disco e la protrusione nel 35% di soggetti asintomatici tra 20 e 39 anni, con un’incidenza progressivamente maggiore nei soggetti più anziani. I reperti di risonanza magnetica relativi ad espulsione di materiale discale, a compressione delle radici nervose da moderata a grave sono più facilmente correlati con sintomi specifici e con segni clinici obiettivi.
Le rotture dell’anulus correlate alla lombalgia sono state oggetto di una controversia piuttosto considerevole. Molti studi riportano un’associazione tra la presenza di lesioni dell’anulus e una lombalgia clinicamente significativa (140, 141). Studi istologici hanno identificato un’involuzione delle radici nervose in associazione con le lesioni dell’anulus, suggerendo una base anatomica per la lombalgia discogenica (142). Moneta et al. (143) hanno revisionato i risultati di 833 discografie eseguite in 306 candidati a chirurgia vertebrale e hanno riportato un’associazione tra le lesioni dell’anulus esterno e la riproduzione di un dolore simile o esattamente identico a quello riferito. Per quanto la discografia TAC venga considerata il gold standard per l’identificazione di una lesione dell’anulus, una zona ad alta intensità a carico dell’anulus esterno riscontrata alla risonanza magnetica sembra essere significativa (144). La sensibilità, la specificità, il valore predittivo positivo e il valore predittivo negativo delle zone ad alta intensità nella risonanza magnetica che si correlano con il dolore lombare posteriore sono state stimate rispettivamente intorno al 27%, 95%, 89% e 47% (144). Videman et al. (141) hanno eseguito una valutazione retrospettiva mediante risonanza magnetica su 115 gemelli monozigoti, valutando molti parametri, inclusi l’altezza del disco, la protrusione, l’ernia, le lesioni dell’anulus, gli osteofiti, la stenosi e le alterazioni dei piatti cartilaginei, e hanno riportato che la riduzione di altezza del disco e le lesioni dell’anulus sono gli unici parametri significativi che possono predire una lombalgia.
Difetto transizionale lombare
Il difetto transizionale lombare, altrimenti conosciuto come sindrome di Bertolotti, è presente dal 12% al 21% della popolazione (145-149). Tipicamente la quinta vertebra lombare è parzialmente o completamente sacralizzata o il primo segmento sacrale è parzialmente lombarizzato con un persistente disco intersomatico caudale. L’aumento di sollecitazioni meccaniche sul segmento prossimale o su quello transizionale è stato individuato come un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di malattie del disco e lombalgia. In presenza di una vertebra L5 transizionale parzialmente sacralizzata, una linea che collega le creste iliache e il processo trasverso di L5 è stata associata a un aumento della prevalenza di degenerazione del disco L4-L5 visibile sulle radiografie (150). Molti studi hanno suggerito un aumento del rischio di ernia del disco a livello prossimale e il possibile effetto protettivo con riduzione dell’incidenza di degenerazione a livello caudale (145, 146, 151, 152). Studi incrociati tuttavia, hanno fallito nel dimostrare un’associazione tra vertebra transizionale e lombalgia (153).
Valutazione clinica
Data la natura benigna e la prognosi favorevole a lungo termine della maggior parte degli episodi di lombalgia, studi di diagnostica per immagini avanzati e intervento chirurgico che va oltre il trattamento sintomatico, dovrebbero essere ritardati di almeno sei-otto settimane nella maggior parte degli individui con lombalgia. Se viene riferito un trauma significativo bisogna eseguire precocemente delle radiografie tradizionali, mentre una risonanza magnetica precoce può essere appropriata nei pazienti con anamnesi di cancro, infezioni recenti o sintomi specifici o segni di malattia come febbre, raffreddore o perdita di peso non voluta. Anche la comparsa o la progressione di deficit neurologici significativi rappresenta un’indicazione per un precoce studio per immagini avanzato.
La valutazione clinica del paziente inizia con l’osservazione generale dell’umore e del comportamento. Waddell et al. (154) hanno di nuovo reso popolari i segni non organici, cioè i reperti che suggerivano la possibilità di un’origine non organica della lombalgia. Essi hanno descritto originariamente cinque segni utilizzabili: il dolore evocato dalla palpazione, la simulazione, la distrazione, le alterazioni regionali, la iper-reazione. La presenza di 3/5 segni suggerisce un forte contributo non organico e la necessità di una valutazione psicologica di supporto.
La lombalgia non specifica è una diagnosi di esclusione, e a volte l’anamnesi del paziente e l’esame fisico dovrebbero essere eseguiti per determinare la possibilità che sia presente un processo clinico patologico più specifico. La localizzazione, la qualità, l’intensità e la durata del dolore sono elementi diagnostici fondamentali. L’irradiazione del dolore al di sotto del ginocchio, specialmente se lungo il territorio di una radice, è fortemente suggestivo di una sciatica e potenzialmente di una compressione della radice nervosa da protrusione del disco. Il dolore alle estremità inferiori che si ferma al di sopra del ginocchio è più spesso un dolore in rapporto a un disco degenerato o a un’artropatia spondilosica. I fattori che aggravano o alleviano il dolore sono rilevanti per la diagnosi. Il dolore lombare cronico o episodico che aumenta con una flessione anteriore può indicare una malattia degenerativa del disco. La manovra di Valsalva, come il tossire o lo starnutire, aumenta la pressione all’interno del disco e spesso provoca dolore di origine discogenica. Il dolore lombare che aumenta nella posizione neutra o in estensione può originare da una spondilolisi, dalla degenerazione delle faccette o dalla stenosi vertebrale. Bisogna sempre considerare e valutare attentamente la possibilità di un tumore o di un’infezione. Un’anamnesi pregressa di lombalgia, che includa la durata della risposta al trattamento, spesso è predittiva per l’eventuale decorso dell’episodio di lombalgia attuale. La storia sociale è una componente importante nella valutazione della lombalgia. Il livello di impiego, la soddisfazione sul lavoro e la presenza di una potenziale richiesta di risarcimento, come può avvenire quando c’è stato un pregresso incidente stradale o una controversia legale, deve essere indagato con perizia. L’esame fisico dovrebbe includere l’altezza, il peso e l’atteggiamento del corpo. Bisogna valutare la postura e la deambulazione. Bisogna ispezionare la cute, soprattutto sopra la regione lombosacrale, alla ricerca di lesioni congenite. La palpazione profonda della regione lombare spesso evoca dolore non specifico sopra la muscolatura paraspinale o sulle spine iliache posteriori superiori. Il dolore evocato sulla linea mediana sopra i processi spinosi suggerisce la possibilità di una frattura o di altre lesioni ossee. Se il paziente riferisce dolore significativo per una pressione lieve della cute bisogna considerare questo segno come un segno di Waddell positivo, che suggerisce la possibile origine non organica della malattia. L’escursione di movimento del segmento toraco-lombare va valutata, ma un ridotto movimento non ha un valore particolarmente diagnostico. Un test di Lasègue va eseguito nel paziente in posizione seduta e supina. L’evocazione del dolore mentre il paziente è supino ma non quando è in posizione seduta, in particolare quando l’esaminatore appare concentrato su un altro aspetto dell’esame, è un altro segno di Waddell. Nei pazienti giovani un test di Lasègue positivo è sia sensibile che specifico per ernia del disco, ma questo segno può non avere lo stesso valore nei soggetti di età superiore a cinquant’anni. Infine bisogna eseguire un esame neurologico accurato. La diminuzione di forza radicolare e/o la perdita di sensibilità di un dermatomero suggeriscono la possibilità di un’ernia del disco, mentre la perdita di sensibilità non dermatomerica, regionale, o il deficit di forza globale di un arto viene considerato un altro segno di Waddell positivo.
Sommario
La lombalgia non specifica rappresenta un enorme problema in termini di salute pubblica e di costi socioeconomici. L’incidenza durante la vita di lombalgia significativa è tra il 60% e l’80% ed è rimasta relativamente costante tra i popoli e nel tempo. L’enorme numero di studi clinici pubblicati forniscono informazioni confuse e spesso in conflitto tra di loro su specifici fattori di rischio, e i risultati individuali dovrebbero essere valutati con attenzione. Le metanalisi abitualmente scartano tra il 45% e il 95% degli studi pubblicati come inaccettabili per un’analisi aggregata a causa di difetti metodologici o statistici. In particolare, studi incrociati su specifiche popolazioni di lavoratori dovrebbero essere interpretati con cautela a causa dell’effetto “lavoratore sano”. Una buona evidenza ragionevole implica un lavoro manuale pesante con flessioni ripetute, sollevamento di pesi o rotazione del tronco come fattori di rischio per lo sviluppo di lombalgia non specifica. L’evidenza di fumo e obesità come fattori di rischio significativi è relativamente debole. Una volta che la lombalgia è presente, la durata dei sintomi appare significativamente influenzata da vari fattori sociali, come la depressione e la soddisfazione sul lavoro. Un’analisi epidemiologicamente significativa di lombalgia è notevolmente messa in crisi dalla mancanza di termini clinico-patologici chiaramente definiti e significativi. L’utilità di test diagnostici specifici come la RMN o la discografia e l’efficacia di terapie specifiche, dalla terapia fisica alla chirurgia, non possono essere valutate adeguatamente fino a quando non si comprendono le condizioni che consentono di eliminare il concetto di lombalgia non specifica.
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