Anatomia e fisiologia del disco intervertebrale
I dischi intervertebrali, in numero di 23, interposti fra le vertebre e di sezione esattamente corrispondente alle vertebre contigue, risultano formati di due parti distinte, l’una periferica che prende il nome di anello fibroso e l’altra centrale denominata nucleo polposo.
La prima, che ha la funzione di contenere e racchiudere la seconda, è costituita da fibrocartilagine con fibre collagene disposte in strati concentrici, e con architettura tale che le fibre di ogni strato si incrociano, con varia angolatura, con quelle degli strati adiacenti.
Il nucleo polposo, che sta all’interno, è invece costituito da una massa gelatinosa molto ricca di acqua, contenente fibre collagene ed elastiche e grosse cellule polinucleate.
Il nucleo polposo rappresenta un residuo della notocorda, primo abbozzo embrionale della colonna vertebrale.
L’alto contenuto idrico del disco diminuisce progressivamente con l’età, variando in tale modo dal valore del 99% nel neonato al 70% nell’anziano.
Poiché il disco è deputato alla mobilità della colonna vertebrale esso appare più sviluppato in altezza dove maggiore è la possibilità di movimento. Secondo il Testut il rapporto in altezza fra dischi e corpi vertebrali sarebbe di 2/5 nel tratto cervicale, 1/5 nel tratto dorsale e 1/3 nel tratto lombare.
Le funzioni del disco sono molteplici. Esse sono rese possibili dall’intima struttura del disco stesso e dall’equilibrio esistente fra le due componenti, delle quali quella periferica, l’anulus o anello fibroso, solidamente ancorata alle vertebre contigue, mantiene contenuta perfettamente, in condizioni normali, la parte centrale o nucleo polposo che, a causa della sua incompressibile struttura liquida, mantiene disteso, conseguentemente, l’anulus e distanti i due corpi vertebrali.
Il nucleo non si trova perfettamente al centro del disco ma nei 2/3 posteriori, in una situazione equidistante dalla faccia anteriore dei corpi e dalle faccette articolari posteriori e per tale situazione si comporta come un fulcro durante i movimenti di flessoestensione della colonna.
Oltre a permettere i movimenti fra le singole vertebre e a mantenerle elasticamente a distanza, il disco, per la struttura liquida che presenta all’interno, si comporta come un vero ammortizzatore attutendo e suddividendo, sull’ampia superficie del corpo vertebrale, le continue pressioni cui è sottoposto il rachide in condizioni statiche e dinamiche.
Eziopatogenesi dell’ernia discale
In condizioni normali l’equilibrio fra i componenti dell’articolazione intersomatica (anello fibroso, nucleo polposo, piatti cartilaginei) è tale da non permettere la formazione di un’ernia. Prove eseguite con carichi crescenti hanno dimostrato infatti che, in condizioni di normalità, si giunge ad una frattura vertebrale prima che all’erniazione del disco.
Perché l’ernia del disco si produca è quindi necessario che esistano fattori predisponenti, di natura degenerativa, a carico dei mezzi di contenzione del nucleo (anello fibroso e piatti cartilaginei) mentre, d’altro canto, il nucleo deve essere ancora ben conservato per poter protrudere. Le possibilità sono quindi le seguenti: degenerazione dell’anulus con fissurazione dei suoi componenti, il che permette una via d’uscita al nucleo polposo; degenerazione del piatto fibrocartilagineo con conseguenti distacchi marginali dell’anulus. Essendo presenti tali condizioni è possibile che sotto varie sollecitazioni il nucleo polposo possa protrudere venendosi così a determinare un’erniazione del disco.
Dalle prove fatte e dai reperti osservabili anche al tavolo operatorio appare che il meccanismo più frequente, per lo meno a livello lombare, capace di determinare un’erniazione discale, sia quello della cifosi vertebrale. Durante tale movimento, infatti, il nucleo viene compresso e sospinto posteriormente e, se trova un locus minoris resistentiae, protrude posteriormente. Durante tale migrazione il nucleo trova l’ostacolo rappresentato dal legamento longitudinale posteriore; a seconda che quest’ultimo venga superato o meno, si parla di ernia espulsa o di ernia contenuta.
A livello cervicale, esistendo caratteristiche anatomiche e biomeccaniche assai differenti, la protrusione discale non segue lo schema che abbiamo tracciato. Prevalendo, infatti, a tale livello, le sollecitazioni derivanti da movimenti di torsione e di rotazione, in assenza o quasi di azioni pressorie, si notano soprattutto, a carico del disco, delle fissurazioni orizzontali.
Quando il tessuto discale ha conservato ancora la sua idrofilia, il che succede raramente, frammenti di questo possono prolassare, quasi sempre in senso laterale. Più frequentemente invece la compressione radicolare è determinata dalla contemporanea degenerazione del disco, dei processi uncinati e delle apofisi articolari che causa il restringimento del forame di coniugazione.
Anatomia patologica
Benché le ernie possano, in via teorica, verificarsi ad ogni livello della colonna vertebrale, sono in realtà le regioni più mobili quelle maggiormente esposte a tale eventualità.
Predominano nettamente, per frequenza, le ernie lombari (96% ca. dei casi) seguite da quelle cervicali (3% ca. dei casi) mentre le ernie a livello dorsale sono da ritenere rare (0,5% ca. dei casi).
Per quanto riguarda la struttura dell’ernia, essa appare composta in massima parte del nucleo polposo, con frammenti di anulus e, più raramente, frammenti cartilaginei.
L’aspetto anatomopatologico più importante della protrusione discale è però la sede della sua estrinsecazione nei rapporti con lo speco vertebrale, perché da tale dato dipende il rapporto che la protrusione viene a contrarre con gli elementi nervosi contenuti nel canale vertebrale.
La protrusione può essere infatti mediana, paramediana o francamente laterale e gli effetti prodotti sugli elementi nervosi, e di conseguenza il quadro clinico, possono variare completamente.
A livello cervicale ad es., una protrusione mediana può il comprimere direttamente il midollo o interferire indirettamente sulla sua vascolarizzazione per compressione dell’arteria spinale anteriore.
Un’erniazione posterolaterale, al contrario, comprimerà la radice satellite di quello spazio intervertebrale: oltre a ciò, un’erniazione francamente laterale può irritare o comprimere l’arteria vertebrale nel suo decorso intertrasversario.
A livello dorsale, data la ristrettezza del canale vertebrale e la scarsa importanza clinica di una compressione radicolare, le ernie che giungono a manifestazioni cliniche producono usualmente una compressione midollare. ln casi eccezionali un’erniazione dorsale bassa (da D10 a D12), specie a sinistra, interrompendo la via di maggiore affusso sanguigno al midollo dorsolombare (arteria di Adamkiewicz), può determinare gravi paraplegie.
Al tratto lombare risultano particolarmente evidenti tutte le varietà di quadri clinici che conseguono ad una erniazione ad un medesimo livello, in questo caso la sintomatologia neurologica, sempre di tipo periferico, varierà notevolmente a seconda che la compressione sia mediale o laterale.
Nella figura 1 appare evidente come per ogni singolo spazio intervertebrale lombare si possano verificare ben sei differenti quadri anatomopatologici con rispettivi quadri clinici di compressione caudale, monoradicolare o biradicolare.
FIGURA 1: Rappresentazione schematica delle diverse sedi di estrinsecazione dell’e.d.d. al tratto lombare. a) sede mediana – b) sede postero-mediale: compressione biradicolare – c) sede ascellare: compressione monoradicolare – d) sede posterolaterale – e) sede intraforaminale: compressione biradicolare – f) sede intra-extraforaminale: compressione monoradicolare.
Per risalire quindi, dal quadro clinico, al livello di un’ernia, bisogna tenere presenti queste eventualità, che possono indurre quadri assolutamente diversi.
Quadro clinico nelle varie localizzazioni
Per quanto detto, il quadro clinico, ai vari livelli, è polimorfo. Esamineremo separatamente gli aspetti clinici principali per erniazione a livello cervicale, dorsale o lombare.
Nel tratto cervicale si possono determinare quadri clinici vari a seconda che la protrusione solleciti il legamento longitudinale posteriore, comprima le radici e il midollo separatamente o simultaneamente. La sintomatologia può essere quindi, nel primo caso, limitata ad una cervicalgia o cervico-nucalgia: il collo appare rigido, contratto e dolente ai tentativi di mobilizzazione.
Il quadro radiografico documenta in genere tale stato con l’attenuazione, la scomparsa o addirittura l’inversione della lordosi cervicale fisiologica. L’interessamento radicolare viene invece denunciato dalla comparsa di brachialgia che in genere segue, in senso cronologico, alla cervicalgia. Nella fase iniziale la sintomatologia si riduce a dolori irradiati lungo un arto superiore con una proiezione in genere ben descritta dal paziente.
Il dolore si esacerba alla flessione forzata (o rotazione sotto compressione) del capo verso il lato colpito (segno di Spurling) e alla messa in tensione delle radici del plesso brachiale che si consegue mediante la manovra di Roger-Bikelas-De Seze (o segno di Lasègue del braccio) che si attua trazionando il braccio abdotto e pronando l’avambraccio a gomito esteso mentre il capo viene ruotato dal lato opposto.
In genere, a tale stadio, è difficile fare una diagnosi esatta di livello poiché ancora mancano segni soggettivi e obiettivi evidenti. Ma quando alla fase irritativa subentra la fase compressiva delle radici, la sintomatologia si delinea in modo più chiaro denunciando deficit evidenti che ci indirizzano verso lo spazio interessato. Compaiono infatti le ipo-anestesie, le atrofie muscolari, le alterazioni dei riflessi e le reazioni elettriche patologiche che denunciano la radice compromessa.
A quadro conclamato la sintomatologia, per i vari livelli cervicali, può essere schematizzata come segue.
Radice C5: ipoestesia della spalla, terzo superiore del braccio e faccia anteroesterna dell’avambraccio. Iporeflessia bicipitale e del radioflessore. Ipovalidità del deltoide e degli extrarotatori della spalla.
Radice C6 (fig. 2 a sinistra): i disturbi soggettivi della sensibilità sono, usualmente, riferiti alla faccia anterolaterale del braccio, al lato radiale dell’avambraccio, all’eminenza tenar, al pollice e all’indice; la diminuzione oggettiva di sensibilità è, in genere, limitata alle prime due dita. Ipo-areflessia del radioflessore. Ipovalidità del bicipite e del lungo supinatore.
FIGURA 2: Distribuzione dei deficit sensitivi e della validità muscolare. A sinistra per compressione della radice C6, a destra per compressione della radice C7.
Radice C7 (fig. 2 a destra): ipo-anestesia al 2°-3° dito della mano, ipo-areflessia tricipitale, ipovalidità prevalentemente a carico dei muscoli nel territorio del radiale con esclusione del lungo supinatore.
Radice C8: ipo-anestesia all’eminenza ipotenar e al 4°-5° dito della mano. Ipo-areflessia del cubito-pronatore, ipotonia dei flessori delle ultime dita e del cubitale anteriore, ipotrofia degli interossei.
In tutti questi casi l’indagine elettromiografica denuncia la compromissione di particolari gruppi muscolari dai quali è possibile risalire alla radice compromessa.
Più raramente, la compressione discale può avverarsi in sede mediana manifestandosi quindi con il quadro della compressione midollare, quindi anche con interessamento degli arti inferiori (paraparesi spastica).
A livello dorsale, data la ristrettezza del canale vertebrale occupato pressoché completamente dal midollo e data la scarsa importanza funzionale delle radici dorsali, i segni clinici più evidenti sono quelli di tipo centrale, determinati dalla compressione del midollo da parte del tessuto discale. Si può quindi realizzare una lesione midollare trasversa con comparsa lenta e progressiva di una paraparesi spastica. I segni clinici iniziali sono rappresentati da senso di indebolimento e facile stancabilità agli arti inferiori: tale sintomatologia progredisce sino a condurre, in un lasso di tempo più o meno lungo, ad una paraparesi spastica con esaltazione dei riflessi osteotendinei, scomparsa dei superficiali, ipertono, clono e fenomeno di Babinski, comparsa di ipoestesia di livello. Meno frequentemente si può instaurare una sindrome da emilesione midollare (sindrome di Brown-Séquard: paralisi spastica, anestesia priopriocettiva e pallestesia omolaterali al di sotto della lesione, anestesia termo-dolorifica controlaterale al di sotto della lesione).
I sintomi radicolari, data la scarsa importanza ai fini e funzionali delle singole radici toraciche, sono assai scarsi per quanto riguarda l’ipotrofia e l’ipovalidità muscolare, peraltro difficili da rilevare. Esiste invece una netta componente dolorifica con comparsa di irradiazioni dolorose a cintura mono- o bilaterali, con la caratteristica delle nevralgie intercostali. Meno frequenti e più difficili da valutare le aree sospese di ipoestesia.
A livello lombare le radici più comunemente compromesse sono la L4, L5 e S1. Anche in tale regione la sintomatologia varia notevolmente a seconda della radice interessata. Segni comuni sono la rigidità del rachide, la presenza di eventuale scoliosi antalgica, la positività dei segni liquorali (Valsalva, Neri, Naffziger). I segni di compressione delle varie radici possono essere così schematizzati.
Radice L4 (per erniazione discale fra L3 e L4; fig. 3). Irradiazione dolorosa lungo la faccia anteriore della coscia e dei 2/3 prossimali della gamba (lombocruralgia). Positività del segno di Wassermann-Boschi (esacerbazione del dolore flettendo la gamba sulla coscia a malato sdraiato in posizione prona). Ipoestesia alla faccia anteromediale della gamba e bordo mediale del piede. Ipo-areflessia rotulea, ipovalidità quadricipitale. Segni elettrici di sofferenza a carico del quadricipite e del tibiale anteriore.
FIGURA 3: Distribuzione dei deficit della sensibilità (rosso) e della validità muscolare (rosso punteggiato) per compressione della radice L4.
Radice L5 (per erniazione fra L4 e L5; fig. 4). Irradiazione dolorosa lungo la faccia posteriore della coscia e bordo esterno della gamba (lombosciatalgia). Positività del segno di Lasègue (esacerbazione del dolore ponendo l’arto inferiore esteso in flessione sul bacino; in taluni casi il dolore si accentua anche eseguendo la manovra sull’arto controlaterale sano). Ipoestesia sulla faccia anteroesterna della coscia e laterale della gamba e nella zona del dorso del piede compresa fra il 1° e il 2° dito. Ipovalidità degli estensori delle dita e in particolare dell’estensore lungo dell’alluce. Segni elettrici di sofferenza a carico dell’estensore dell’alluce e degli estensori delle dita.
FIGURA 4: Distribuzione dei deficit della sensibilità (rosso) e della validità muscolare (rosso punteggiato) per compressione della radice L5.
Radice S1 (per erniazione fra L5 e S1; fig. 5). Irradiazione dolorosa lungo la faccia posteriore della coscia e della gamba sino al tallone (lombosciatalgia). Positività del segno di Lasègue omolaterale e talvolta controlaterale. Ipoestesia alla faccia posteriore della coscia, della gamba e bordo laterale del piede. Ipo-areflessia achillea e medioplantare. Ipovalidità dei muscoli della sura e flessori delle dita.
FIGURA 5: Distribuzione dei deficit della sensibilità (rosso) e della validità muscolare (rosso punteggiato) per compressione della radice S1.
Quando i segni clinici hanno una distribuzione netta, il che avviene in un gran numero di casi, la diagnosi di livello di un’ernia discale appare facile e sufficiente ad indirizzare la diagnosi.
Quando i segni clinici non sono chiari o vi è il sospetto di interessamento di più radici è necessario ricorrere a indagini di diagnostica per immagini che, oltre ad escludere la presenza di fenomeni morbosi di tipo espansivo, ci permette di porre una diagnosi esatta di sede. La diagnostica classica era basata essenzialmente sulla mielografia, consistente nell’iniezione subaracnoidea, mediante rachicentesi lombare, di un mezzo di contrasto idrosolubile non ionico. Tale metodica è oggi sostituita dalla risonanza magnetica, che può essere completata con sequenze cosiddette “mielografiche”, che evidenziano cioè il sacco durale e le tasche radicolari compresse dall’erniazione discale. Peraltro, la risonanza, visualizzando direttamente i tessuti sani e patologici, consente solitamente un’immediata diagnosi delle patologie che entrano in diagnostica differenziale con l’ernia del disco. Citiamo, tra le più comuni, le lesioni espansive neoplastiche, le formazioni osteofitosiche e disco-uncartrosiche, le cisti sinoviali (a carico del complesso zigapofisario posteriore), le cicatrici epidurali post-chirurgiche o le forme infettive (disciti e ascessi), a livello cervico-dorsale la sclerosi laterale amiotrofica e la sclerosi multipla (patologie nelle quali solitamente manca la componente dolorosa), la sindrome di Pancoast e la sindrome dello stretto cervicale, la periartrite scapolo-omerale, la Guillain-Barré, la DISH e la OPLL (sindrome di Forestier-Rotes-Querol), e molte altre. Di particolare interesse a livello cervicale la sindrome di Parsonage-Turner, forma di atrofia neurologica che interessa il plesso brachiale: si manifesta con dolore molto acuto della spalla e del braccio che, dopo pochi giorni, lascia spazio a una paralisi atrofica di alcuni muscoli del cingolo della spalla.